Pillole di SpiritualiTà
Il Rosario si pone nella migliore e più collaudata tradizione della contemplazione cristiana. (San Giovanni Paolo II)
di Sr. Francesca Fera
Nel gergo comune c’è il detto “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, per sottolineare la tendenza che alcune persone hanno a parlare molto e a concretizzare poco, a promettere tanto e a non mantenere niente, pensando che le situazioni si risolvano a forza di parole, parole e ancora parole. Tutto questo non si può dire di S. Giuseppe, che non è stato l’uomo delle parole, ma dei fatti.
I Vangeli non ci riportano nessuna parola proferita da lui. Questo non significa, ovviamente, che S. Giuseppe non parlava mai, ma che non è stato rilevante, nell’ordine della salvezza, riportare le sue parole, quanto il suo esempio di vita. La sua vita parla più dei suoi discorsi e fu talmente impregnata di rettitudine e di onestà, che il Signore affidò a lui - e a lui solo - i suoi beni più cari: il suo Figlio Gesù e Maria SS.ma.
Il silenzio di Giuseppe di Nazareth non è semplicemente assenza di parole, ma presenza di una vita molto più profonda, la vita interiore. Noi non siamo più abituati a parlare di interiorità, immersi come siamo nel trambusto della nostra quotidianità, piena di rumori e di messaggi che continuamente ci stordiscono e ci impediscono di stare in silenzio con noi stessi. Anzi, abbiamo paura del silenzio e della solitudine, perché non sappiamo più come “gestire” i sentimenti, le emozioni, i pensieri, tutto quello che portiamo dentro, non essendo più abituati a pensare, a riflettere, a meditare. Allora, piuttosto che farci travolgere dal fiume in piena della nostra coscienza, meglio metterla a tacere: come? Con lo smartphone sempre a portata di mano, con l’auricolare sempre nell’orecchio, con la radio sempre accesa etc.
C’è, invece, un altro modo di affrontare la realtà, che non è quello di “subirla”, ma è quello di accoglierla e trasformarla, proprio attraverso la nostra vita interiore, così come ha fatto S. Giuseppe. Quando ha visto che la Madonna era incinta, anche lui non sapeva cosa fare, anche lui ha attraversato la notte dell’indecisione, dell’ansia, della paura. Tuttavia S. Giuseppe non ha giudicato Maria, ha continuato ad amarla. Infatti, riporta il Vangelo di Matteo “Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto” (Mt 1, 19).
L’evangelista Matteo riassume in poche parole la dura e lunga lotta interiore che ha affrontato S. Giuseppe prima di decidere. La sua decisione non fu dettata dall’impulsività, non fu presa tutta d’un colpo; non fu nemmeno una reazione dell’orgoglio ferito o una questione d’onore. Fu, piuttosto, una questione d’amore, perché S. Giuseppe amava la Madonna e l’amava più del suo stesso onore. Egli era convinto dell’innocenza di Maria, ma il contrasto tra quanto vedeva e quanto sapeva, aumentava ancora di più la sua sofferenza. Fino in fondo non sapremo mai cosa attraversò l’animo di quest’uomo e la ragione profonda del timore che aveva di prendere con sé la sua Sposa; probabilmente intuiva che c’era stato un intervento soprannaturale, che lui non voleva quasi “profanare”.
Tuttavia, “mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse:« Giuseppe , figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua Sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo…»” (Mt 1, 20). Il Signore premia la rettitudine e la sincerità di S. Giuseppe che non cercava se stesso o i suoi interessi, ma si chiedeva quale fosse la volontà di Dio e il bene più grande per Maria SS.ma; perché chi veramente ama cerca il bene per la persona amata. Ma la soluzione giunge a Lui “mentre stava pensando a queste cose”: mentre cioè, pregava, rifletteva, ponderava, alla luce della fede, tutte le soluzioni possibili per cercare di capire quale fosse la cosa giusta.
Questo significa coltivare la vita interiore: immergere la propria anima, la propria coscienza nella luce di Dio per compiere non la nostra, ma la sua volontà in una determinata situazione, per discernere quello che il Signore ci sta dicendo attraverso delle persone o delle situazioni. Dopo che si è riflettuto personalmente è bene - se possibile - chiedere consiglio ad una guida spirituale, non per esimerci dalle nostre responsabilità, ma perché “nessuno è buon giudice di se stesso”.
Coltivare la propria vita interiore significa ritagliarsi durante la giornata dei momenti di preghiera, qualche minuto per la lettura della Parola di Dio e per l’esame di coscienza; disseminare qualche “Ave Maria” e qualche giaculatoria tra un lavoro e l’altro, mentre prendiamo l’ascensore o quando siamo in fila dal dottore. Si deve mantenere sempre vivo il contatto con il Cielo, quel filo diretto che ci aiuta a pensare come pensa Gesù, ad amare come ama Gesù, ad agire come avrebbe agito Gesù.
Uno dei grandi problemi della società odierna è che si dà importanza solo a quanto si riesce a “produrre”, ma pochi si preoccupano di quanto si riesca ad amare veramente. Gran parte delle decisioni sociali e politiche vengono adottate sulle base di criteri dettati dall’interesse economico e non sono ispirati dal vero bene della persona. La Chiesa rimane una delle poche istituzioni che difende la vita e la dignità dell’uomo. Non si può essere giusti con gli altri quando si opera irriflessivamente, poiché l’impulsività acceca e la passione impedisce di considerare fattori e circostanze che non vanno tralasciati. A volte, quando si ripone ogni fiducia nell’intuizione, si possono commettere gli sbagli peggiori, compromettendo e danneggiando gli altri in ragione della propria presunzione.
Invece quando con umiltà e costanza, si chiede a Dio la luce per compiere ogni giorno i passi giusti lungo il nostro cammino, Egli, che desidera solo il nostro bene e la nostra felicità, sicuramente ci verrà in soccorso, ricompensando la nostra fiducia in Lui, così come ha illuminato la mente e il cuore del suo servo fedele S. Giuseppe.
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