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Il Sangue di Gesù nel Sacramento della Riconciliazione

Il Sangue di Gesù nel Sacramento della Riconciliazione

Il Perdono che libera

di Marzia Amato  

Nei tempi in cui si è incarnato il Figlio di Dio, nei sacrifici rituali per espiare i peccati, veniva usato il sangue degli animali e la sua aspersione sull’altare rappresentava l’offerta della vita a Dio come mezzo di purificazione e riconciliazione.

La salvezza che il Dio incarnato ci ha offerto col suo Sangue versato sulla Croce non è solo memoria del sacrificio, ma è realtà vivente che purifica, riscatta e riconcilia.  Il Sangue offerto da Gesù per tutta l’umanità ci lava, ci rialza e ci restituisce la dignità perduta attraverso la confessione e il pentimento sincero, con cui siamo reintegrati nella comunione con Dio e con la Chiesa, rinnovando l’alleanza che è stata sigillata nel sangue di Cristo, la Nuova Alleanza.

Ogni volta che ci accostiamo al sacramento della riconciliazione, arriviamo frastornati da un mondo che spesso grida vendetta e, nello stesso tempo, è come se il Calvario si rendesse presente e lì, nel silenzio del confessionale, sussurra perdono. 

Il confessionale è un’oasi di pace che ristora e dove il cuore ferito dell’uomo trova guarigione. 

È lì che scopriamo che non siamo “definiti” dai nostri errori, ma dall’amore infinito ed incommensurabile di un Dio che, nel Sangue di Suo Figlio, ci rende nuovi ogni giorno.

E non siamo mai soli in questo continua crescita verso la santità, nel cammino di conversione, siamo accompagnati dallo Spirito Santo che Gesù ci ha consegnato assieme ad una Madre premurosa, Maria, dolce rifugio nei momenti di smarrimento e guida verso la luce della riconciliazione. 

Il suo cuore materno ci invita a fidarci dell’amore che guarisce, è lei che ha condiviso le sofferenze del Figlio e continua ad intercedere per noi. 

In questo percorso spirituale, la comunità parrocchiale è un’oasi di fraternità, è lì che il perdono diventa testimonianza, che il dolore condiviso trova conforto, e che ciascuno può sentirsi parte di una famiglia più grande. 

Il sacramento della penitenza non porta frutto solo nel cuore e nell’anima di un singolo fedele: è un atto che rigenera l’intero corpo ecclesiale, seminando pace e unità tra i fratelli.

In particolare per le coppie di sposi, questo sacramento è linfa vitale. 

Imparare a chiedere perdono e a donarlo è fondamento di ogni relazione duratura. 

Quando marito e moglie si aprono alla grazia della riconciliazione, non solo sanano le piccole fratture del quotidiano, ma edificano un amore capace di resistere alle tempeste, un amore, benedetto da Dio, che è un riflesso del patto eterno tra Cristo e la Chiesa, Sua sposa.

Nel perdonarsi ogni giorno, nel camminare insieme nella fede, nella sofferenza e nella gioia, essi diventano segno vivente della misericordia che il sacramento rende visibile. 

Riconciliarsi come coppia significa rialzarsi come una sola carne, con la grazia di Cristo al centro.

Infine, ma non per minore importanza, quanto è fondamentale la frequenza del sacramento di riconciliazione

Non è una formalità, ma vera “urgenza” del cuore. 

Come il corpo ha bisogno di nutrimento, così l’anima ha bisogno della grazia che libera. 

Confessarsi regolarmente ci aiuta a camminare nella verità, a custodire il cuore e a renderlo sempre più simile a quello di Cristo.  È segno di umiltà e di desiderio di santità, una scelta che trasforma non solo il singolo ma tutto ciò che lo circonda.

Una comunità che si riconcilia spesso è anche una comunità che cresce nella carità. 

Nella comunità parrocchiale, questo sacramento è sorgente di unità assieme all’Eucaristia, ove il Sangue di Gesù è presente sacramentalmente e diventa centro della fede cristiana.

Frequentare la confessione significa non solo curare la propria anima, ma anche rafforzare i legami ecclesiali, portando luce dove c’erano ombre.

Accogliamo quindi con gioia quanto Gesù risorto dice ai suoi apostoli:

“Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi.” (Gv 20,22-23)

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