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IL RINNEGAMENTO DI PIETRO E IL TRADIMENTO DI GIUDA

IL RINNEGAMENTO DI PIETRO E IL TRADIMENTO DI GIUDA

La forza e la volontà di rivolgerci al cuore paterno di Gesù

di Roberto Utzeri

La storia del rinnegamento di Pietro e quella del tradimento di Giuda si possono leggere in parallelo, continuano e si rinnovano a distanza di duemila anni e ci riguardano da vicino.

Le due storie, di Pietro e di Giuda, finiscono in modo decisamente diverso: che cos’è che fa la differenza tra l’una e l’altra? Pietro si rammaricò per quello che aveva fatto, ma anche Giuda sembra aver avuto rimorso, tanto che gridò: «Ho tradito sangue innocente!» e restituì i trenta denari; l’esito, però, fu diametralmente opposto: Pietro «uscito fuori, scoppiò a piangere»; Giuda, invece, andò a impiccarsi.

La differenza non è di poco conto … Pietro, in realtà, si era già mostrato più coraggioso degli altri discepoli: era stato lui solo, infatti, a sguainare la spada per difendere Gesù contro quelli venuti ad arrestarlo; ma, poi, non aveva fatto i conti con le proprie paure e fragilità. Pietro, però, che aveva identificato prima degli altri Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio, al vedere lo sguardo del Signore, dopo averlo disconosciuto, viene preso da pentimento sincero e piange amaramente: Pietro incomincia a conoscere davvero Gesù e a sperimentare profondamente la Sua Misericordia.

Giuda, invece, è preso da un “senso di colpa”, più che da reale pentimento: si rende conto del crimine commesso, riconosce il peccato e il tradimento di un innocente e, vedendo che Gesù è stato condannato a morte, prova a restituire il compenso del tradimento ai Sommi Sacerdoti; preso dall’orgoglio, egli non traduce questa vergogna in una domanda di perdono a Gesù. Giuda non ritiene Gesù capace di assolverlo per ciò che ha fatto e si toglie la vita piuttosto che ravvedersi e rinascere a vita nuova; egli non crede veramente nella divinità di Gesù e tanto meno nella Sua capacità di risorgere, non crede che dopo la morte di Gesù ci sia un “dopo” … il traditore si è condannato da solo, ha fallito il progetto della sua esistenza … «sarebbe stato meglio che non fosse mai nato!»

Nella desolazione del rinnegamento di Pietro, Gesù ha potuto seminare un principio di conversione: nulla, infatti, è mai irrimediabile, se la tristezza diventa invito alle lacrime di sincero e sostanziale pentimento, con atteggiamento proattivo; nella disperazione di Giuda, Gesù, invece, nulla ha potuto; la volontà del discepolo, le sue scelte e le sue azioni, unicamente dettate dalla convenienza, non lo conducono da Gesù per ottenere così il perdono del suo tradimento; Giuda, invece, torna dai Sommi Sacerdoti, i “mandanti” del delitto, e così ha perduto definitivamente la sua anima.

E noi? Quante volte potremmo dire o confessare di aver fatto come Pietro? Potevamo dar testimonianza della nostra fede cristiana, ma abbiamo preferito mimetizzarci per non correre pericoli nel nostro umano mondo, per non esporci al “pubblico ludibrio”. Quante volte, allora, abbiamo riposto nel fodero la “spada” del nostro credo e detto, con i fatti o con il nostro silenzio: «Non conosco questo Gesù di cui parlate!».

Perfino la storia di Giuda ci può essere familiare: ognuno di noi avrebbe potuto essere al suo posto … Giuda vendette Gesù per trenta denari … ma chi può dire di non averlo tradito, a volte, per semplice umana convenienza, anche per molto meno? Tradimenti sicuramente meno tragici del suo, ma, nel peccato, assai pericolosi per la nostra anima e aggravati dal fatto che noi sappiamo, meglio di Giuda, chi è Gesù!

Anche noi possiamo trovarci allo stesso bivio di Pietro e di Giuda: contrizione o disperazione; la libertà umana, infatti, può portare a scelte sbagliate; è nella nostra natura l’inclinazione alla trasgressione … Nonostante un autentico attaccamento a Gesù e un sincero desiderio di stare con Lui, noi dobbiamo fare i conti con le nostre ansie e debolezze, per cui spesso Lo seguiamo timidamente, “da lontano”, come Pietro nel Sinedrio; e, se ci conviene, ci voltiamo dall’altra parte, lo disconosciamo oppure lo tradiamo, ci volgiamo ad altro, abbandonandoci al peccato come l’Iscariota. E, proprio nel momento della consapevolezza della nostra colpa, abbiamo la responsabilità di reagire al male fatto. Nel ricordo dell’Amore del Signore, ci assalgono il rimorso, la vergogna, la rabbia contro noi stessi e sperimentiamo tutta la nostra miseria: dobbiamo trovare, allora, la forza e la volontà di rivolgerci al cuore paterno, materno, amicale di Gesù!

In Pietro, ognuno di noi trovi un esempio di come si debbano piangere i propri peccati – perché anche i nostri sono stati la causa della morte del Signore – per disporsi a una salubre riconciliazione: “fare Pasqua” deve tradursi, allora, nel vivere un’esperienza personale della Misericordia di Dio, in Cristo Gesù!

 

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