Pillole di SpiritualiTà
Il Rosario si pone nella migliore e più collaudata tradizione della contemplazione cristiana. (San Giovanni Paolo II)
Quel senso di vuoto può diventare una ricerca di paradiso e uno spazio dentro cui può entrare il Signore
di Katiuscia Iacchini
Ciascuno di noi attende un intero anno per poter solo pronunciare la fatidica parola “vacanza” e ritrovare così la speranza di poter staccare la spina dal contesto lavorativo e trasformarlo in un balsamo di meritato riposo e svago. Tuttavia spesso accade che ci vogliano non pochi giorni per disintossicarsi dal verbo “fare” a cui a lungo rimaniamo attaccati.
Nonostante la stanchezza della routine quotidiana, il “fare” ci distoglie, in fondo, dal pensare troppo e dal ripiegarci su noi stessi per definire il punto della situazione. Il “fare” ci accompagna come un alleato fedele per evitare al nostro cuore di percepire spesso la desolazione e la mancanza che abita ciascuno di noi, di porci troppe domande sul nostro operato come credenti. Liquidiamo velocemente i pensieri negativi, a volte specchio di una coscienza che non si arrende.
Ecco quindi che con l'arrivo dell'estate e delle vacanze non di rado capiti di andare in crisi e di domandarsi come occupare questo tempo al meglio. Non è raro, così, neanche sentir dire che, alla fine delle ferie, ci si senta più stanchi di prima.
Papa Francesco parla del tempo del riposo come il tempo dell’“ecologia del cuore” (Papa Francesco, Angelus 18/07/2021) in cui possiamo realmente ridimensionarci e imparare il senso etimologico della parola “vacanza”, ossia la capacità di essere vuoti, di dare spazio ad una fame che ognuno di noi si porta dentro.
È in quel vuoto che possiamo cogliere, nei caldi e assonnati giorni d’estate, la pienezza dell'essere simili a Dio.
Quando, dopo le lunghe ore di caldo afoso e irrespirabile, sopraggiunge la sera e si ha la fortuna di percepire sulla pelle un leggero movimento d’aria, se ci fermiamo ad accogliere i moti del cuore e le nostre profonde aspirazioni, avvertiamo il senso preoccupante della nostra fragilità e precarietà, e capiamo quanto bisogno vi sia d'amore in ciascuno di noi.
Durante l'anno il nostro correre non ci consente con facilità di fermarci a riflettere, mentre nel tempo delle vacanze possiamo sanare le ferite fisiche e spirituali che l’esistenza ci ha provocato. Possiamo lasciare spazio al silenzio e farci abitare da esso, ritrovare un contatto con la natura osservandone i colori mutevoli e le numerose forme di vita grandi e piccole che la popolano; possiamo chiudere gli occhi e ritrovare quegli odori antichi e dimenticati che hanno colorato una parte della nostra infanzia o i periodi più felici della nostra storia; possiamo consolidare la relazione e l'armonia con i nostri cari spesso sacrificati alla logica estenuante del lavoro, che deve essere produttivo e quantificabile sempre e comunque.
Il nostro cuore inquieto non trova riposo finché non scopre l’oggetto del proprio amore, non riesce ad essere felice se non solo, e soltanto, quando ama profondamente e sente di essere immensamente amato.
La presenza del Signore nelle più piccole cose della vita quotidiana va colta attraverso un allenamento attento del cuore che via via ci può aiutare a guardare l'altro con occhi nuovi, più sensibili e attenti ai vissuti di ciascuno. Ecco che quella mancanza, quel senso di vuoto, possono diventare una ricerca di paradiso anche qui su questa terra, in questo presente che ci appartiene e che siamo liberi di accogliere in un contesto di amore o di egoismo; essi possono essere trasformati nello spazio dentro cui può entrare il Signore. Riempire dunque tutti vuoti può essere psicologicamente rassicurante ma, in realtà, non ci fa crescere, proprio come quando noi adulti cerchiamo in tutti i modi di evitare che i bambini sperimentino la noia. È la Fede che in questo contesto è fondamentale, ci ricorda che nel vuoto e nella mancanza non siamo abbandonati, ma amati profondamente.
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