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"TRILOGIA NATALIZIA" DI FINE ANNO... PER RIPARTIRE "ALLA GRANDE" CON L'ANNO NUOVO

di P. Mario Piatti

Venerdì 25 dicembre 2020 – Santo Natale

1. Nella conclusione del “Prologo” di Giovanni (Gv 1,1 ss) Cristo Gesù viene definito come “l’esegeta” del Padre, come colui che ci consente di “interpretare” il mistero di Dio, di comprenderne - certo, negli angusti limiti delle nostre umane possibilità - la natura e di intuirne la insondabile e soprannaturale bellezza. Per capire almeno “qualcosa” del mistero di Dio dobbiamo perciò guardare a Lui, al Figlio, al Verbo Incarnato, che con la sua stessa vita ci guida per i sentieri del Cielo. Scopriremo allora, con stupore, che l’eterna Sapienza di Dio si manifesta nella fragilità di un Bambino, che ha bisogno di essere accolto da una Famiglia, sfamato e accudito per poter vivere. L’Onnipotenza creatrice non teme di farsi umile e piccola, perché il nostro cuore acceda con più facilità e confidenza al suo cospetto.Dio assume la povertà e la essenzialità di Betlemme. Non temerà di rivestire poi i panni della comune e familiare quotidianità di Nazareth, condividendo con noi l’esperienza del lavoro, degli affetti “domestici”, del semplice ritmo giornaliero che scandisce il nostro tempo. Dio non è lontano dalla nostra umanità: la fa propria, per risanarla, per redimerla e santificarla. Il suo “abbassarsi” giungerà fino al paradosso della Passione e della Croce, offerte per la nostra Salvezza. 

2. La ritrovata confidenza con il mistero di Gesù, esegeta del Padre, ci consente di inoltrarci lungo i sentieri della contemplazione, raccogliendo dalla Parola di Dio alcune espressioni, che ci consentono di delineare i “tratti” propri del Redentore. E qui scopriamo - con rinnovato stupore - che quel Bimbo, posto nella umile mangiatoia di Betlemme da sua Madre, è costituito erede di ogni cosa: per suo mezzo il Padre ha creato il mondo. È irradiazione della gloria di Dio, impronta della sua sostanza: tutto sostiene con la potenza della sua Parola e siede alla destra della maestà dei Cieli (cfr. II lettura: Eb 1,1-6). Il Prologo di Giovanni si apre con la dichiarazione esplicita della sua divinità: “In principio era il Verbo e il Verbo era rivolto a Dio e il Verbo era Dio”. Nella Grotta della Natività giace colui che ha fatto i cieli e la terra, che l’Universo non può contenere, al cui cenno accorrono gli Angeli; colui che è eterno, onnisciente, fonte di ogni sapienza, forza e bellezza. San Giovanni riconoscerà, decenni più tardi, nelle sue lettere, di aver “toccato” il Verbo della Vita, di esserne stato accanto, di averne udito la parola, di avere condiviso con Lui un tratto di strada. Gesù rimane e rimarrà sempre un mistero infinito: più lo si accosta, più ci si accorge di conoscerlo appena, di essere ancora all’inizio del cammino.

3. Nascendo nel tempo, Dio ci elargisce in Gesù ogni bene; ci comunica l’amore vero, il dono della pace, la fragranza della gioia evangelica, la Grazia; lo stupore di sua Madre e di Giuseppe, di fronte al dispiegarsi di eventi colmi di Verità e di luce.Lui ci offre tutto se stesso, senza ripensamenti e senza riserve: in cambio si attende che a quella Santa Grotta portiamo il fardello dei nostri peccati, il peso dei nostri fallimenti, delle nostre incapacità, dei nostri limiti: come una goccia d’acqua - scriveva un santo sacerdote - gettata nel braciere ardente della sua infinita misericordia. Perché il male, tutto il nostro male, diventi finalmente per noi via di Redenzione e di santificazione.

Sabato 26 dicembre 2020 – Santo Stefano, protomartire

L’imitazione di Cristo passa attraverso il Servizio, che ci colloca sul versante di Dio, che ci conforma alla sua logica: il Figlio stesso di Dio, infatti, è venuto per servire, non per essere servito. Nella Chiesa, fin dalle origini, verrà istituito il ministero del diaconato, proprio perché nella Comunità cristiana vi sia un “segno” - concreto, stabile e visibile - che richiami tutti alla disponibilità nel servizio dei fratelli. Qualcuno deve incarnare, cioè, in modo “ufficiale”, il comando del Signore di mettersi all’ultimo posto, di operare per il bene del prossimo, rinnegando se stessi. Santo Stefano è proprio uno dei primi sette diaconi della Chiesa, uomini di buona reputazione, incaricati del “servizio delle mense” (cfr. Atti 6,1 ss).

Seguire Gesù, nel servizio dei fratelli, può condurre alla logica estrema dell’amore: dare la vita fino all’effusione del sangue, conformandosi così totalmente e radicalmente al Redentore. Santo Stefano testimonia, dinanzi ai suoi accusatori, la sua fede nel Signore: riceve dallo Spirito Santo sapienza e forza per annunciare il Vangelo, per proclamare la Verità e per illuminare i cuori, dichiarando che Gesù è il Messia atteso da Israele. Non teme di affrontare la morte, intercedendo, come il Salvatore sulla Croce, per i suoi stessi persecutori.

Il racconto della sua lapidazione si conclude con una nota, apparentemente marginale, che acquisterà in seguito un valore straordinario: tra quelli che approvano l’uccisione di Stefano vi è Saulo, il futuro San Paolo, l’Apostolo delle Genti. Come sempre, quando tutto sembra concludersi tragicamente, nella inesorabile e fatale logica del mondo, tutto sta per rifiorire: dal sangue di Stefano, unito al Sangue stesso di Cristo, germinerà la conversione di Saulo. Quando le tenebre sembrano avvolgere ogni cosa e la morte, come sempre, pare trionfare, inaspettatamente uno spiraglio di Grazia attraversa la nostra vita, un insperato raggio di luce e di speranza apre una prospettiva nuova. Anche a Fatima, il 13 luglio 1917, dopo la terribile visione dell’Inferno e dopo aver tracciato lo sconfortante panorama del secolo XX (con la minaccia, purtroppo poi realizzatasi, di una Guerra Mondiale, peggiore di quella allora in atto), la Vergine Maria concluse dicendo: Alla fine il mio Cuore trionferà. Una inattesa nota di speranza restituisce al nostro spirito il desiderio di ripartire, di riprendere la strada, di ricominciare.

Domenica 27 dicembre 2020 – Santa Famiglia di Nazareth

I capitoli iniziali della Genesi illustrano il progetto iniziale di Dio sulla famiglia, costituita da un uomo e da una donna che, insieme, danno vita a una nuova realtà, fondata sulla loro unione, indissolubile e feconda. Questo disegno del Creatore - l’accoglienza dell’altro, nella sua somiglianza e diversità, che riempiono Adamo di gioia e di stupore, di fronte alla donna - viene presto compromesso dall’oscura realtà del peccato. Il male insidia, alle radici, la bellezza di quel rapporto: porta alla disobbedienza e insinua il dubbio verso Dio, provoca la reciproca incomprensione e l’accusa vicendevole, sfociando poi (basta procedere appena un poco nella narrazione) addirittura nell’odio di un fratello contro il fratello. Caino, il più grande - chiamato a essere il custode del più piccolo - sopraffatto dalla gelosia e dall’invidia, diviene l’uccisore di Abele, il cui sangue eleverà per sempre la sua voce al Cielo, di generazione in generazione.

Terribili - e purtroppo sempre attuali - rimangono le prime due domande, rivolte da Dio all’umanità: dove sei? E: dov’è tuo fratello? Lungo la tormentata storia dell’uomo, la famiglia, fin dalle origini, attraverserà conflitti, difficoltà e sfasature di ogni genere; subirà spesso l’oltraggio del tradimento e della infedeltà; sfocerà in esperienze “parallele”, si presenterà in forme bizzarre, quasi caricaturali, quali la poligamia e “il libero amore”; approderà alle odierne follie della ideologia gender e delle famiglie arcobaleno.

In questo quadro contraddittorio, complesso e sofferto, la Santa Famiglia di Nazareth ripropone all’uomo la sola via che riconduce alla fragranza delle origini, offrendo un modello ineguagliabile - eppure, nella sua semplicità, tanto vicino a noi - di carità, di mutuo servizio, di condivisione. Quella Casa è il Tempio vivente di Dio: Dio “è di casa”, nella Santa Casa di Nazareth, accolto nella Persona di Gesù e custodito come il tesoro più prezioso. Il rispetto, il silenzio, la laboriosità, la gioia, la solidarietà segnano i giorni Giuseppe e della sua Sposa, desiderosi di adempiere ogni giorno fedelmente la Volontà dell’Altissimo. Neppure la fatica, la pena e il dolore sono loro negati; ma anche questi aspetti, a noi spesso familiari, sono santificati, divengono sorgenti di Grazia e di Redenzione per l’intera umanità.

Il panorama contemporaneo sulla famiglia è desolante e sconfortante: sembra proprio che tutto converga a distruggere la comunione tra i coniugi, a seminare la discordia, a promuovere forme alternative di relazione inter-personale. Il “mondo” sollecita e alimenta un individualismo esasperato, sebbene in ciascuno di noi, nel fondo dei desideri più profondi dell’anima, rimanga l’anelito a “qualcosa d’altro”, a un rapporto autentico con la persona amata, definitivo e “indissolubile”.

Perché non siamo “egoismi che si incontrano” ma “cuori che si accolgono”: questa è la sorgiva e radicale vocazione di ogni uomo. La preghiera rimane la prima e imprescindibile via per ricomprendere la bellezza e la santità della famiglia, delle nostre famiglie: per guardare a Nazareth e imparare, ancora una volta, la lezione dell’Amore vero, che sa donarsi totalmente per il bene dell’altro.

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Il Rosario si pone nella migliore e più collaudata tradizione della contemplazione cristiana. (San Giovanni Paolo II)