di Suor Caterina Gatti
Presso la nostra Opera FCIM di Roma, già da qualche anno, grazie al sostegno economico della Fondazione Antognozzi onlus, ha preso il via un un Progetto Sociale ricco di iniziative, tra cui il doposcuola e vari laboratori (di lingue, di pittura, cucito, teatro, cucina, computer, e chi più ne ha più ne metta!), che hanno riscosso un grande successo, fin da subito. Purtroppo, come ben possiamo immaginare, la pandemia da covid-19 ha imposto per parecchio tempo uno stop a quasi tutte le attività che, gradualmente, stanno però cercando di ripartire, con la grinta di sempre.
Tra queste, i laboratori di inglese e di pittura, che potremmo definire "lab-oratori", così da sottolineare maggiormente il termine "oratorio", tanto caro a bambini e ragazzi, quasi a voler porre l'accento sull'aspetto ludico e aggregazionale piuttosto che su quello formativo e di "lavoro" (permettetemi questa "forzatura" del significato del termine).
Facciamo uno zoom su entrambi, così da poter quasi vedere quel che succede in queste due attività!
English che passione... ma non troppo!
Nascondendomi dietro una delle enormi colonne del salone dove si svolge il laboratorio di inglese, cerco di capire cosa stia succedendo. I bambini sono seduti ognuno nel loro banco, rigorosamente distanziati uno dall'altro, con la mascherina che copre tutto il volto (sì, ma dico io, gli occhi teneteli fuori, no?!).
La simpatica insegnante, Francesca, ragazza originaria della Costa d'Avorio (che sta dietro l'angolo insomma) entra tutta spigliata ed inizia subito a parlare in inglese.
"Bene", penso io, "sta utilizzando il metodo assimil, dicono sia il migliore". Non essendo più una teenager, per dirla all'inglese, quando mi è capitato di iniziare un corso di lingua spagnola, qualche anno fa, sono rimasta abbastanza "traumatizzata" da tale tecnica di insegnamento, che ho soprannominato "metodo d'urto". Ma, ritornando a noi, vedendo la scena, sempre nascosta dietro la colonna, mi passa per la testa questo pensiero: "Sì, vabbè dai, questi sono bambini, sono abituati a queste nuove tecniche di insegnamento, non è più la scuola di una volta"...
"Hallo! I am the theacher" (traduzione, per i non anglofoni: "Ciao! Io sono l'insegnante")
"My name's Francesca, and this is my book..." (traduzione: "Mi chiamo Francesca, e questo è il mio libro")
"And you? What's your name?" (traduzione: "E tu? Come ti chiami?")
Blah, blah, blah (traduzione: bla, bla, bla): ecco, questo deve essere stato ciò che si è materializzato nella testa di questo piccolo alunno, ora interpellato, mentre lei ha iniziato a parlare.
"Ehm... What's your name?", chiede nuovamente Francesca, rivolgendosi con insistenza al ragazzino, per spronarlo a dire qualcosa.
Osservo il bambino che ha gli occhi spalancati e la faccia appoggiata alle mani, e i gomiti puntati sul tavolo. Tutto ad un tratto risponde, con una semplicità a dir poco disarmante: "Senti, io non ho capito proprio niente di quello che tu hai detto!". Potete comprendere il mio grande sollievo, nel sentir dire questa frase?!!!
Risata generale, e la nostra teacher capisce che, forse, il metodo d'urto lo lasciamo per un'altra volta, e iniziamo ad imparare l'inglese parlando in italiano, scrivendo e spiegando le varie parole, e trovando dei giochi che possano servire per imparare divertendosi.
Ecco, allora, che il momento formativo assume anche un aspetto "oratoriale", così come lo intendeva quel grande educatore che era San Giovanni Bosco; il quale, inventando l'oratorio per i ragazzi (e il suo oratorio è ben diverso da quello che, alcuni secoli prima, inventò San Filippo Neri, che è ben altra cosa... ai più curiosi il compito di ricercare notizie), pensò bene di affiancare al gioco anche la formazione professionale, per cui nacquero i laboratori dove i ragazzi potevano imparare un mestiere. Tutto questo si svolgeva in un ambiente sano, di stampo cattolico, in un clima di fede in Dio e fraternità con gli altri. E, non dimentichiamolo, con la presenza costante di una figura paterna - quella di don Bosco - e di una, più discreta, materna - quella di sua mamma Margherita, che diventò la madre di tutti - sempre pronte ad incoraggiare, ascoltare, correggere, aiutare.
Similmente, anche nei laboratori presso la nostra Opera FCIM di Roma, a Villa Troili, i più giovani possono trovare la figura della paternità sacerdotale dei nostri sacerdoti e seminaristi e quella della maternità spirituale di noi suore, cioè persone adulte sempre disponibili per camminare insieme a loro, per condividere le loro conquiste, per correggere gli errori, per offrire un conforto nei momenti di difficoltà. Anche se i laboratori in certi casi sono affidati a volonterosi laici, come quello di inglese, non mancano mai, per chi vi partecipa, le figure di riferimento del sacerdote e della religiosa, e la parola d'ordine per tutti è "allegria": si impara giocando, si gioca imparando.
PS.Vi farò sapere come procede; la prossima volta, però, cambio colonna, perché alla fine mi hanno scoperta!
(fine prima parte)